Croccanti tacos a base di grilli e gustosi spiedini con i bachi del bambù, annaffiati da un fresco gin tonic oppure da un Negroni. È l’aperitivo alternativo che si è tenuto oggi a Roma, nella sede dell’Associazione Stampa Estera, organizzato dall’Università della Cucina Italiana. Maestro di cerimonie Guido Mori, direttore didattico dell’ente accademico con sede a Firenze e riconosciuto dal Ministero dell’Università e della Ricerca, che ha tenuto una lezione dimostrativa su “La cucina degli insetti e della carne sintetica”, davanti a un pubblico selezionato di invitati, divulgatori, giornalisti ed esperti del settore.
L’Unione europea ha autorizzato a fine gennaio l’adozione del grillo domestico in polvere, che segue quella di tarme della farina essiccata e della locusta migratoria. La carne sintetica è invece oggetto di un disegno di legge che ne vieterebbe la produzione in Italia. L’introduzione di questi “novel food” sul mercato e sulle tavole degli italiani è quindi ancora oggetto di un dibattito sotto molti aspetti, ma l’evento dell’Università della Cucina Italiana a base di finger food ha provato a fare chiarezza, almeno da un punto di vista della cultura culinaria.
“La cucina italiana si basa su una continua innovazione e sulla sintesi di quanto meglio esiste nelle culture del mondo, pertanto cucinare gli insetti non rappresenta un ‘tradimento’ – spiega Mori -. Gli insetti sono presenti nell’alimentazione in moltissimi paesi, soprattutto asiatici e mediorientali, ma anche nella nostra cucina in diverse fasi della produzione agroalimentare. È compito dell’Università della Cucina Italiana far proprio questo atteggiamento basato sulla sintesi culturale con un approccio laico e ragionato e mai sull’isolazionismo, tanto più che in questo momento storico siamo chiamati a individuare nuovi prodotti e percorsi alimentari che contribuiscano a garantire un’alimentazione sicura e sana per tutti, in modo sostenibile”.
Allevare insetti richiede fino al 50–90% in meno di terreni per ottenere un chilogrammo di proteine, il 40–80% in meno di mangime per kg di peso commestibile e produce 1.000–2.700 grammi in meno di gas serra per kg di massa ottenuto, rispetto al bestiame convenzionale (European Journal of Clinical Nutrition).